A febbraio non sono sono arrivato a vedere Once Upon a Time in 2020 di Fabrizio Spucches perché ha dovuto chiudere dopo soli due giorni dall’apertura. D’altronde c’era da aspettarselo da una mostra sulla vita durante la pandemia quando quella vita purtroppo non siamo ancora riusciti a scrollarcela di dosso. E in effetti è un po’ straniante vedere delle foto appese al muro, che di solito raccontano il passato, mostrarti cos’è il presente.

Ad accoglierti all’ingresso c’è un’immagine raffigurante un uomo, visibilmente bruciato dal sole, che porta sul volto l’ormai classica abbronzatura da mascherina. Fa parte della serie Once Upon a Time in 2020, che dà il nome alla mostra e ritrae in maniera allegorica una serie di figure che giocano con le abitudini, gli oggetti e i personaggi entrati con prepotenza nella sfera pubblica dall’inizio della pandemia. Le immagini, che a prima vista possono farci volare verso l’assurdo, dopo pochi istanti ci fanno ripiombare nella realtà grazie alla loro ironica brutalità.

Poco dopo lo sfondo delle immagini da azzurro si fa bianco. Troviamo un muro con tanti piccoli ritratti che raffigurano due tipologie di persone, le uniche, a cui la pandemia non cambiato nulla. Figure di gente estremamente ricca ed estremamente povera sono lì tutte insieme a guardarci quasi con aria di sfida, per ricordarci che loro potranno comunque continuare a fare shopping da Chanel o che continueranno a non avere nulla come prima della crisi.

E poi ci sono i naturisti. Donne e uomini di ogni età senza alcun vestito addosso, o meglio, quasi. A creare il cortocircuito infatti è la mascherina, perché quella sì, la deve portare anche chi trova la propria libertà mettendosi nudo.

Infine, o all’inizio se si entra dalla parte del locale, c’è la sezione Working Class Virus, che contiene le immagini, di una realtà raramente vista sui media mainstream, scattate da Spucches all’inizio dell’emergenza. Operatori sanitari, senzatetto, edicolanti, sex workers, persone comuni, che affrontano ed esorcizzano il tema della solitudine e della morte. Ad accompagnarle c’è un video che contribuisce, se le immagini da sole non dovessero bastare, a ricordarci della nostra condizione umana e sociale.

Once Upon a Time in 2020 a mio avviso non è soltanto un racconto della vita durante la pandemia, ma anche un lavoro su ciò che la pandemia ha reso ancora più evidente della natura umana, la sua effimerità. Ed è proprio questa natura umana che Fabrizio Spucches ha saputo interpretare allo stesso tempo con ironia ed empatia, senza mai cadere nel banale o nel reportage straziante fine a sé stesso. Insomma, per dirla come Oliviero Toscani che ha presentato la mostra, Spucches da artista sa emozionare e sorprendere con il suo punto di vista sul mondo.

Non perdetevela. Once Upon a Time in 2020 sarà visitabile tutti i giorni fino al 16 maggio dalle 10.00 alle 18.00 a Scalo Lambrate, in via Saccardo 12 a Milano.